PRAESEPE
 
 
Da poco conclusasi  con successo, nel suggestivo Palazzo Marchesale ad Arnesano, in provincia di Lecce, una singolare mostra curata da Massimiliano Cesari, nella quale cinque artisti hanno esposto un progetto nato nel 2015, anno della prima esposizione. Il titolo "Praesepe", inteso come luogo recintato, che include, preludeva al tema tanto attuale dell'inclusione e, di conseguenza, dell'esclusione dell'altro.
 
 


 
Il tema di quest'anno è stato "L'identità", vista come singola, ma anche come comunitaria, culturale ed ambientale.
Questi i nomi  degli artisti espositori: Marco Mariano, Pantaleo Musarò, Salvatore Sava, Salvatore Spedicato e Chiara Tubia.
Bellissima e imponente, l'opera di Marco Mariano è un'installazione denominata "Cattedrale".
Conosco Marco Mariano da diversi anni, ogni sua creazione mi ha sempre entusiasmata, ma questa mi ha lasciata  basita per la sua sontuosità. Lo scultore ha realizzato quattro grandi cubi aperti, nel cui interno ci sono altrettante composizioni. La prima è una scultura lignea che rappresenta una camicia piegata, sopra la quale è posato un guscio di tartaruga. Entrambe le cose vogliono significare elementi di identità diverse, ciò che riveste l'uomo e ciò che riveste l'animale. Elementi che distinguono la persona dall'animale, che al tempo stesso caratterizzano ognuna delle due identità. In un secondo cubo vi sono cinque formelle di resina, dalle quali si possono scorgere e riconoscere vari oggetti ricoperti da un panno. Questa composizione vuole evidenziare le identità spesso nascoste, ambigue, false. La terza opera nell'opera è una ragnatela di fili ai quali si agganciano pezzi di ferro lavorato. L'autore vuole riportare l'osservatore ai tragici eventi quali il terremoto o le alluvioni, a tutto ciò che di distruttivo comportano. E' un rimando alle catastrofi naturali, così come anche all'opera distruttiva dell'uomo. Da questo contesto di devastazione, di conflitti e calamità, ciò che resta è la speranza della ricostruzione, qui rappresentata da gusci di riccio. Nell'ultimo cubo in alto si trovano lische di pesce, viste come quello che resta di un'identità che è stata e che non sarà più la stessa, un'identità ormai persa.
 
 
 
 

Pantaleo Musarò ha esposto un progetto fotografico, intitolato "Il mio volto" formato da otto scatti che ritraggono due immagini femminili e due maschili. Effetti tecnici e di luce deformano le identità originali, per cui anche l'aggiunta di un semplice particolare può portare a giudizi sulla persona che potrebbero non corrispondere alla vera identità della persona stessa. E' un viaggio dell'autore verso la ricerca della propria identità in quella degli altri. Rivedersi nell' altro è accogliere l'altro, questo è il messaggio di Musarò.
 
 
 
 
 
"Aleurodidi" è l'opera che ha proposto Salvatore Sava. Conosco anch'egli da tempo, conosco quanto sia sempre attento al paesaggio, alla sua tutela, e la conferma viene da questa particolare creazione, molto originale. Dall'idea di una terra continuamente colpita sia dalla mano dell'uomo che dagli eventi naturali, Sava propone un'invasione di aleurodidi appunto, mosche bianche che stanno distruggendo le colture del nostro territorio. Poggiate su otto lastre di pietra leccese altrettante cupole di cemento verdi. Fili di ferro con pietre bianche avvolgono le stesse, a rappresentare le uova depositate da questi insetti. Un tronco d'albero secco e aleurodidi di cemento e ferro sparsi ovunque completano l'opera, assieme a delle mosche disegnate su carta acetata, posate sulle finestre. Un sottofondo di canto di cicale rendeva quanto mai vicino alla realtà il nostro essere lì ad osservare.
 
 
 
 
 
 
Due le opere di Salvatore Spedicato. "Neofita" la prima, rappresenta un battesimo, raffigurato da una testa realizzata in gesso, posata su una base tonda di marmo, ed una mano nell'atto di versare dell'acqua battesimale sulla stessa testa. Il neofita battezzato inizia una nuova vita, alla quale si affaccia con una nuova identità, sia dal punto di vista religioso ma anche umano, con tutto ciò che comporta vivere nel mondo.
 
 
 
 
 
La seconda installazione di Spedicato prende il nome di "Lutto per l'olivicidio". Realizzata in ferro, l'opera circolare racchiude dei rami di ulivo che, ormai secchi, stanno a significare la ben nota distruzione di questi alberi caratterizzanti la nostra terra, simbolo della nostra Puglia. Colpito prima dal batterio della xyllella e poi dalle decisioni distruttive prese dall'uomo, dell'ulivo raffigurato non resta che una reliquia in una terra difficile e sofferente.
 
 
 
 
 
 
Ultima opera in mostra, quella dell'artista Chiara Tubia, "Is that what we call identity?". Ho trovato anch'essa molto particolare. Trentacinque risvolti di una stessa identità, trentacinque calchi in cera del volto dell'artista stessa, posti sul pavimento che, emergendo in modi differenti, mostrano come ognuno di noi può ritrovarsi in quei volti, camminando fra di loro. Una sorta di invito dell'artista posto ad ognuno di noi, un voler metterci dinanzi alla scelta di chi vogliamo essere e quale identità invece, poi, decidiamo di mostrare al mondo. Visi che si ripetono, in un sottofondo di voce femminile che, in diverse lingue, parla di identità diverse, di culture diverse, con le quali conviviamo. 
 
 
 
 
 
Chi ha visitato la mostra avrà compreso e vissuto appieno il senso della stessa, chi non è riuscito a vederla spero possa viverla, anche se virtualmente, attraverso questo post che, pur ad evento concluso, dovevo scrivere. Ho un obbligo verso l'Arte, una sorta di riconoscimento, per ciò che dona, per le emozioni che riesce a trasmettere e che aspettano solo di essere colte.
 
Daniela Tateo
 
 

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